SCHIZOFRENIA, CYBERBULLISMO E RESPONSABILITÀ A CATENA
Il contesto psichiatrico-digitale
Una persona affetta da schizofrenia vive una realtà fragile: la percezione del mondo esterno è filtrata da distorsioni, deliri o allucinazioni.
Un attacco informatico o cyberbullismo mirato (messaggi, profili falsi, campagne diffamatorie, manipolazioni digitali) può:
• aggravare in modo devastante i sintomi (paranoie, deliri persecutori, rottura del contatto con la realtà);
• far esplodere episodi psicotici acuti, in cui la persona può compiere atti pericolosi o distruttivi, senza consapevolezza.
In termini clinici, si parla di “riattivazione psicotica indotta da stress digitale” — un concetto che oggi psichiatri e giuristi iniziano a collegare anche ai reati online.
L’attacco informatico come “concausa di evento dannoso”
Se un soggetto fragile viene aggredito digitalmente e reagisce in modo incontrollato (ad esempio aggredendo, distruggendo beni, o autolesionandosi), occorre distinguere:
• Responsabilità diretta dell’autore dell’attacco
L’hater o cyberbullo può essere civilmente e penalmente responsabile non solo del danno psicologico diretto, ma anche di tutti gli eventi consequenziali prevedibili.
Ex art. 2043 c.c. + art. 41 c.p. (concorso di cause): se l’attacco era idoneo a scatenare una crisi in un soggetto vulnerabile, il nesso causale può essere riconosciuto.
• Responsabilità del soggetto affetto da malattia mentale
Se la persona, in preda all’episodio psicotico, provoca danni a terzi → si applicano gli artt. 2046–2047 c.c.
Se incapace di intendere e volere → non risponde personalmente, e risponde chi doveva vigilare (familiari, tutori, struttura).
Se parzialmente capace → può rispondere con un’indennità equitativa.
Ma il cyberbullo può diventare corresponsabile anche dei danni “a catena” che la sua azione ha innescato, proprio in virtù del nesso di causalità psicologica.
Il punto di collisione giuridica
Questo è il nodo:
Chi ha scatenato la crisi (il cyberbullo, l’hacker, il manipolatore digitale)
potrebbe essere chiamato a rispondere anche dei danni materiali o morali causati dalla vittima psicotica, se l’evento era prevedibile e provocato da un attacco mirato.
Esempio pratico:
• un soggetto schizofrenico, vittima di un attacco informatico che simula “voci persecutorie” → ha un crollo psicotico e distrugge il computer del vicino convinto che sia “la fonte delle voci”;
• il danneggiato chiede il risarcimento → la responsabilità primaria è del cyberbullo, come causa efficiente dell’evento.
Qui entra in gioco la colpa per manipolazione consapevole: usare strumenti digitali per destabilizzare un malato mentale non è solo stalking informatico, ma può configurare concorso in lesioni, danneggiamenti o istigazione.
Conclusione: una nuova frontiera del diritto
In questo scenario:
• il cyberbullo → risponde dei danni diretti e indiretti (psichici e materiali);
• il soggetto schizofrenico → può essere non imputabile, ma fonte di rischio da gestire;
• i familiari o strutture → rispondono solo se omettono la vigilanza;
• lo Stato e le piattaforme → hanno obblighi sempre più stringenti di prevenzione e segnalazione.
È un tema che ridefinisce il concetto di responsabilità nell’era digitale: non basta più dire “è malato” o “è un bullo”.
Serve capire chi ha scatenato il corto circuito tra malattia e rete.
